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La 'nduja

Un insaccato che racchiude tutta l'essenza e la tradizione calabrese
21.10.2020
9 min.
La signora in rosso della Calabria

Schiva e riservata come il suo popolo, la Calabria mantiene a volte una posizione defilata, nella valorizzazione delle eccellenze gastronomiche regionali, rispetto ad altre regioni, nonostante vanti una tradizione culinaria intatta, con prodotti di grande genuinità, incredibile qualità, unicità e straordinario sapore.
Un esempio su tutti? L’avvolgente, opulenta ‘nduja, salume spalmabile tra i più golosi e famosi d’Italia, tutelato dal marchio DOP e prossimo ad acquisire anche la certificazione IGP.


La tradizione e la produzione

Rossa come il fuoco, profumatissima, burrosa e morbida fin nelle forme, la ‘nduja, vera leccornia per gli amanti del piccante, sprigiona ad ogni morso tutta l’intensità e l’autenticità della regione d’origine. Deve il suo carattere inconfondibile a pochi ingredienti essenziali – solo carne e grasso di maiale e peperoncino – combinati in un equilibrio unico di sapori, con un procedimento immutato da secoli e ancora tutto artigianale.
Se la carne di maiale calabrese è solitamente di ottima qualità, frutto di allevamenti su piccola scala, l’ultimo passo verso l’eccellenza risale a circa 20 anni fa, quando si è avviato il recupero di una razza autoctona prossima all’estinzione, il pregiato Suino Nero. Le abitudini di questo animale, che vive in stato semibrado tra boschi e pendici montuose nutrendosi di ghiande, castagne, erbe aromatiche, radici e verdure, conferisce alle carni e ai salumi che ne derivano un sapore unico, esaltato già nel ‘700 da Giacomo Casanova. Inoltre, pare che abbia anche un’interessante concentrazione di nutrienti benefici per la nostra salute.

Un tempo per la ‘nduja, tradizionalmente prodotto della cucina povera, si utilizzavano scarti di lavorazione delle carni suine, e soprattutto interiora, polmoni, cuore, trippa e grassi derivati dalla preparazione di salsicce o soppressate. Oggi avviene invece il contrario, e questo delizioso insaccato è onorato con i tagli migliori, parti grasse ma “nobili” come lardello dal sottopancia, guanciale, pancetta, carne di spalla e coscia.
Una volta scelta, la carne viene tritata più volte fino ad ottenere un impasto omogeneo e cremoso, e aromatizzata con peperoncino piccante essiccato al vento e al sole. Preparazioni di bassa qualità impiegano peperoncini di importazione, pepe di Cayenna, perfino spezie orientali, ma la vera ‘nduja ha rigorosamente il profumo delle piante autoctone, originarie della Valle dell’Esaro o il peperoncino della varietà Tri Pizzi, coltivata sul Monte Poro e presidio Slow Food. Da qui nascono il caratteristico aroma, il colore rosso brillante e l’assoluta genuinità di questo goloso salume che, grazie alle proprietà antisettiche e antiossidanti del peperoncino, non necessita di additivi o conservanti.
Quando l’impasto raggiunge la giusta cremosità e morbidezza, viene insaccato nel budello naturale di maiale, nell’“orba” o “muletta”, parte finale dell’intestino crasso, oppure nel “crespone”, l’intestino tenue, più piccolo e stretto; viene quindi affumicato con erbe aromatiche, come la robinia, ma anche con l’ulivo.
Si potrà gustarne tutta la prelibata bontà dopo una stagionatura di 3-6 mesi in un luogo igienicamente protetto e a temperatura controllata, quando l’involucro sarà diventato marroncino, ma l’interno avrà mantenuto tutto il suo sorprendente e intenso colore rosso.


                                                    Foto di @pizza_lab_albano


Dal re francese alla “regina” di Calabria!

Nessuno conosce con esattezza le origini della ‘nduja, tanto che si è anche proposta un’introduzione in Italia nel ‘500, insieme al peperoncino, al seguito degli spagnoli.
Il nome suggerisce tutt’altro poiché ricalca il francese andouille, derivato a sua volta dal latino inductilia, “cose pronte per essere introdotte”. La tradizione più accreditata la vuole, in effetti, erede di un salume francese a base di trippa ed interiora di maiale portato in Italia durante la dominazione napoleonica (1806-1815) e distribuito gratuitamente ai Lazzari, giovani popolani campani, per sedarne la rivolta, da Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e Re di Napoli.
Fu un successo straordinario. I Calabresi adottarono la ricetta, adattandola con ingredienti locali, e diedero vita ad un magnifico, profumatissimo salume. Nacque così quella che è ancora oggi la regina incontrastata della tradizione gastronomica locale.


Foto di @celianchio


“Fari u porcu” a Spilinga

Icona della Calabria nel mondo, la ‘nduja ha in realtà un preciso luogo di origine e un ristrettissimo areale di produzione: tra Capo Vaticano e il Monte Poro sorge Spilinga (VV), “Città della ‘nduja”, paese di poco più di 1400 abitanti, con una posizione straordinaria e un microclima di brezze marine e montane che donano al prelibato insaccato tutti i suoi evocativi profumi.
Con il sopraggiungere dell’inverno, qui, come ancora in tanti altri paesi calabresi, ci si prepara al rito plurisecolare della “quadara”, che consiste nel macellare il maiale per poi lavorarne ogni singola parte e assicurarsi l’approvvigionamento di proteine animali per l’intero anno.
La ‘nduja sarà pronta da gustare sul far della primavera, raggiungendo il perfetto grado di stagionatura in estate. Ogni anno, dal 1975, tra il 6 e l’8 agosto, Spilinga celebra la nuova produzione con una sagra dedicata, che omaggia al tempo stesso la cacciata dei saraceni e le mille declinazioni di questo salume nelle ricette locali, e durante la quale si eseguono le tradizionali danze dei giganti di cartapesta e quella detta del camejuzzu i focu.

Sulle pendici del Monte Poro e lungo il rispettivo versante tirrenico della Calabria, la preparazione e la commercializzazione della ‘nduja sono un perno fondamentale dell’economia locale. Proposta come salume sottovuoto o in vasetti di vetro, ha ormai varcato con la sua fama i confini della bottega locale e nazionale, deliziando quasi tutta Europa e diffondendosi fin oltreoceano, nelle Americhe e in Asia.


                      Foto di @cosenzasuperfood


Come gustarla al meglio

Per tantissimi calabresi la ‘nduja è un sapore ancestrale e identitario, ma anche il gusto di deliziose merende con gli amici a base di fette di pane abbrustolito, tinte da un avvolgente strato di prelibato insaccato dalla colorazione unica, magari con l’aggiunta di ricotta a stemperare la nota piccante quando si è un po’ più piccoli.
Invisa ai salutisti per l’alta percentuale di grasso quanto cara ai cultori di cibi afrodisiaci per la scarlatta piccantezza, ha caratteristiche organolettiche che la rendono incredibilmente versatile, perfetta per insaporire le ricette più varie.
Da non mancare i fileja con la ‘nduja, tipico formato di pasta fatta in casa delizioso con un sugo ‘nduja e cipolla di Tropea. La ricetta è tutt’altro che elaborata: basta far scivolare qualche pezzo di morbida ‘nduja nel soffritto di cipolla, aggiungere pomodori maturi e vino rosso, e lasciar andare sul fuoco per il tempo di cottura della pasta. Il risultato è una vera leccornia, come ogni piatto arricchito con questo delizioso insaccato.
Può essere utilizzata come accompagnamento per formaggi semi-stagionati, guarnizione per pizze e bruschette, tocco speciale per frittate o ripieni di polpette e panzerotti, ma è altrettanto perfetta per insaporire il soffritto di un sugo al ragù o al pomodoro o esaltare un piatto di legumi, carne o pesce.
Semplice e golosa, come tanti cibi contadini anche la ‘nduja sta pian piano conquistando anche i palati più raffinati. Tolto il budello che la custodisce, è un istante cadere nell’incantesimo del suo colore unico, che accende e conquista tutti i sensi, sprigionando i profumi e i sapori più autentici della Calabria.
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