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Il rito della bagna càuda

La cucina in Piemonte di Adriano Ravera e Elma Schena
11.12.2020
3 min.
Il suo profumo impregna tutta la casa, avvolge i convitati, preannuncia la gioia della tavola attorno a cui è immediato familiarizzare. Un rito dell’amicizia nei mesi più freddi, dall’autunno a Carnevale, quando l’aria odora di vino nuovo e di tartufi, di brume e di prime gelate. Si allargano le «s-cionfëtte», i fornelletti di terracotta, si dà fuoco alle fiammelle per tenerla in caldo. Esaltante e vigorosa, un profumo ineguagliabile. La preparazione non potrebbe essere più semplice: olio extravergine d’oliva e acciughe sotto sale della Liguria si sposano all’aglio e ai doni della terra. Un trionfo di verdure. Vanno bene cotte, crude o conservate sotto vinacce. Ad esempio i peperoni. Un inno alla cucina del mercato: cardi, sedani, topinambur, verze, porri, finocchi, cipollotti, patate lesse.



Un ritrovarsi che racconta la storia del Piemonte e la passione della sua gente: «Mangiare è un rito, saper mangiare un’arte senza eguali» dicono a Faule, sulla riva destra del Po, in provincia di Torino, dove la «Confraternita della bagna càuda», ogni anno, a ottobre, promuove una kermesse per oltre diecimila ospiti.

«Venerdì sera, bagna càuda», un amore a prima vista. O l’apprezzi o ne detesti perfino l’odore, che qui è profumo. Di certo una serata che va pianificata perché ti può escludere dalla vita sociale per un minimo di ventiquattro ore, una sorta di quarantena per farla decantare. Dipende dalla qualità dell’aglio e dal procedimento di preparazione. Tante le scuole di pensiero: c’è chi propone una testa d’aglio a persona, olio d’oliva e acciughe. La versione classica. Non mancano sottili manipolazioni per stemperarne il sapore: cuocere l’aglio nel latte, ridurne la dose, aggiungere burro o panna. È la versione «eretica», guardata con sospetto dai puristi.



L’importante è non snaturarla. Eliminare l’aglio manco a parlarne. «L’aglio è il farmacista del contadino», ricordano sulle colline di Langa. Per questo a Costigliole d’Asti, il 7 febbraio 2005, la ricetta è stata codificata dall’Accademia Italiana della Cucina. L’augurio è che possa diventare, come per altri beni immateriali quali la dieta mediterranea e la pizza, Patrimonio Unesco.

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