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Il Castelmagno

La cucina in Piemonte di Adriano Ravera
22.01.2021
3 min.
Un formaggio cosmopolita, di casa a Tokyo e a New York. Ben definita la sua carta d’identità, DOP dal 1996. Di latte vaccino crudo, eventualmente addizionato con ovino o caprino in modeste quantità, unico per gusto e profumo. Forme una diversa dall’altra, cilindriche e di crosta rugosa; pasta di colore bianco perlaceo o avorio a struttura friabile se fresco, giallo dorato con venature blu verdastre e struttura compatta se stagionato. Anche il sapore varia man mano che matura, da fine e delicato a saporito e intenso.
Un re dei formaggi alpini. A incoronarlo è la qualità, fatta di latte di montagna, di pascoli profumati, di una sapienza casearia nata nel XII secolo. Si aggiunga il particolare microclima della valle Grana, in provincia di Cuneo: il Consorzio di tutela prevede una zona ristretta di produzione e stagionatura, i comuni di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana, da cui deve provenire anche il latte. Determinante il ruolo della cantina, fresca e di giusta umidità. D’estate vengono aerate solo durante la notte e sono sempre schermate perché le forme devono rimanere al buio.



E, come per tutti i miti, vanta una storia che si intreccia alla leggenda. Citato in un documento del 1277, circa una sentenza arbitrale tra i comuni di Castelmagno e di Celle Macra per l’usufrutto degli alpeggi, si arricchisce di una narrazione cara ai cantastorie. Il protagonista è Carlo Magno. Pare che un abate, originario della valle, lo avesse omaggiato di una forma tanto apprezzata da pretenderlo sempre sulla mensa imperiale di Aquisgrana. Tre gli elementi del racconto, tutti di forte presa popolare: il toponimo Castelmagno, san Magno protettore dell’omonimo santuario e la dizione «Magno» riservato ai potenti. Un valore aggiunto.



Versatile e completo, il Castelmagno si presta a variegati connubi in cucina. Lega con il riso, la patata, la pasta. Battezza addirittura un piatto: gli gnocchi al Castelmagno. Ottimo gustato «nature», senza miele o confetture, come facevano i montanari. E come insegnò Mario Soldati, il suo cantore più entusiasta.
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