XL
LG
MD
SM
XS
Hai cercato:
English
Italiano
Português
Español
Deutsch

Cacio e pepe

La storia quasi vera di un piatto della tradizione romana
17.04.2018
7 min.
“Quanto sei bella Roma”… quanto è vero! Però qui è il caso di dire anche “quanto sei buona Roma”. Perché se c’è qualcosa di imprescindibile da fare durante una visita alla città eterna, tra una visita al Colosseo, a Piazza di Spagna, alla Cappella Sistina, alla Fontana di Trevi e alle centinaia di altri tesori di arte, storia e architettura che la città eterna offre, c’è sicuramente mangiare la pasta cacio e pepe. Essenza della vera cucina romana, un piatto semplicissimo ma ricco di tradizione e sapori.

La storia (quasi totalmente) vera della pasta cacio e pepe

Tutto a Roma ci parla di storia plurimillenaria, e le tradizioni culinarie non sono da meno. Si racconta infatti che la ricetta della pasta cacio e pepe arrivi da molto lontano e che sia legata alla transumanza, la migrazione stagionale di pastori e bestiame: in estate verso pascoli montani, freschi e rigogliosi, e viceversa, verso pascoli di pianura, al riparo da neve e ghiaccio, in inverno. E con loro si muoveva uno degli ingredienti principali di questo piatto tipico: il pecorino, formaggio con importanti capacità di conservazione per resistere alle temperature montane grazie all’alto contenuto di sale, e dall’alto apporto di grassi utile a fornire un elevato apporto energetico per la fatica fisica. Il pepe certo non viene dai pastori: si racconta però che molti lo portassero con sé per insaporire i piatti senza appesantire troppo il bagaglio e come aiuto a riscaldarsi, così come portavano scorte di farina, per fare la pasta e il pane.



Siamo dunque di fronte a un piatto ricco di carboidrati e grassi, utile a fornire energia e ideale per chi sta in montagna o affronta lavori molto fisici, e forse un po’ meno per i ritmi sedentari della vita di molti di noi oggi. L’ingrediente principe della ricetta è senza dubbio il cacio. Attenzione, non si tratta di una forma dialettale per formaggio, ma è discendente diretto del latino càseus. Il formaggio era utilizzatissimo già dagli antichi romani, che ne apprezzavano la sua lunga capacità di conservazione, i fattori nutrizionali, la facile trasportabilità e, chiaramente, il sapore! Cacio dunque, non semplice formaggio, fatto con latte di pecora fermentato – cotto, semicotto o crudo – salato e preparato nelle forme. In una parola: pecorino.

Ora veniamo a una questione molto, molto, moooltooo delicata. E cioè: quale pecorino scegliere? La maggioranza sostiene che il cacio dovrebbe essere Pecorino Romano DOP, per un apparente rapporto con il territorio, benché esso sia prodotto anche in Sardegna e in Umbria. Sappiamo che alcuni chef preferiscono il pecorino sardo, a pasta dura e dal sapore molto intenso. Altri optano per il pecorino toscano, che viene tra l’altro prodotto anche in Lazio, e può avere caratteristiche organolettiche più eleganti. Altri ancora preferiscono i formaggi di pecora dell’appennino abruzzese, non lontano da Roma... A nostro avviso, il sapore, la qualità e la genuinità del cacio scelto sono più importanti della denominazione. Noi preferiamo i formaggi crudi, ma esistono formaggi a lavorazione termica che sono delle vere eccellenze. Consigliamo formaggi di puro latte ovino per questioni di intensità, anche se abbiamo assaggiato pecorini fatti parzialmente con latte vaccino che erano una meraviglia. Promettiamo di tornare su questo argomento affascinantissimo molto presto! La maggior parte delle nonne e degli chef, comunque, concordano sul fatto che la stagionatura del pecorino dev’essere di almeno 8 mesi, affinché il formaggio – il cacio, pardon – si possa grattugiare agevolmente, ma anche per una questione di intensità nel gusto. Per il pecorino come per molti altri formaggi, in generale, maggiore stagionatura significa un sapore più intenso.



Il secondo ingrediente, non meno importante, è il pepe. Quale? Quello più semplice: il pepe nero. Si trovano sui ricettari ricette con pepe misto, pepe rosa, rivisitazioni di grandi chef o suggerimenti di sperimentatori casalinghi. A volte i risultati sono sorprendentemente buoni, a volte meno. Noi di Palati a Spasso non ci tiriamo (quasi) mai indietro di fronte all’innovazione e alla creatività in cucina. Però ci teniamo anche a conservare e tramandare le ricette e le tradizioni. La pasta cacio e pepe, quella “romana vera”, vuole e pretende il pepe nero. Originario dell’India, sappiamo grazie a Plinio il Vecchio che era un ingrediente molto di moda nella Roma imperiale, benché caro. Non abbiamo notizie del cacio e pepe propriamente detto nella Roma antica. L’ampio uso di questa spezia nelle ricette giunte fino a noi dall’antichità ci fa pensare che l’accostamento di pecorino e pepe nero potesse essere già stato sperimentato in antichità. Occorre però dire anche che le ricette antiche giunte fino a noi erano molto elaborate e lontane dalla gustosa semplicitàdel cacio e pepe.



Il terzo e ultimo ingrediente, indispensabile quanto ovvio, è la pasta. La più usata sono i classicissimi spaghetti n.5. Sempre meglio sceglierli di qualità, a maggior ragione per questa ricetta: sicuramente non vogliamo rischiare che scuociano al momento del ripasso in padella! Vanno benissimo anche i tonnarelli, i tradizionali spaghetti all’uovo romani, che rendono intenso il risultato finale. In molti oggi usano anche rigatoni e maccheroni.

Buon appetito e a prestissimo!
Altri post scritti da